La finale di Champions 2015: la Juve ha perso; molti si sono disperati; molti hanno goduto, e l’avrebbero fatto anche se dall’altra parte ci fosse stato il Taleban Abbottabad o il Real Miamadrequellatroia. Ai gentili lettori – non sono arrogante attribuendomi un bacino d’utenza; semplicemente, ho molte personalità – ho già dimostrato di non sapere NIENTE di calcio ma, amandolo, di trarne spunti e domande. Quella di adesso è, come scriveva il fumettista Edika sulla storica rivista Totem: Perché tanto odio? Contro la Juve, intendo.
Prima, però, voglio vergare con la penna virtuale qualche impressione sul match: è stato bello, perché la Juve ha avuto carattere; perché Morata, giovincello coraggioso, ha pianto e Pogba, giovincello lui pure, lo ha consolato come un babbo che spiega al figlio che può capitare, d’essere rifiutati; perché ha pianto anche Pirlo – i cui compagni affermano a ogni piè sospinto che dietro la faccia inespressiva si nasconda un frescone che tiene banco in spogliatoio (il che rende del tutto non credibile il fatto) – , e mi ha ricordato Baresi nella finale del Mondiale ’94: l’ultima occasione, quasi di sicuro, per suggellare una carriera. Perché l’hanno invece suggellata due altri giganti, Iniesta e Xavi, salutando l’alto livello con l’ennesima Champions: odio amarli, quegli spagnoli!, ma sono stati giocatori eccezionali. E il rigore su Pogba: meno male non è stato dato, almeno ci siamo evitati il coro dei vari Questi rubano anche in Europa!
E da qui, torniamo alla domanda iniziale; di certo il fattore cleptomane, figlio di sudditanze psicologiche, legami coi poteri forti (un’espressione brutta e vaga, troppo vaga anche per il calcio) in quanto squadra storicamente ai vertici, pesa. E pesa l’allure lasciata in dote dal being Gianni Agnelli, personaggio col dono dell’iconicità, benché la Juve d’oggi, fra tweet infelici del cutugnesco Agnelli Andrea e tagli di capelli in stile pube di pornostar fine anni ’70 o Art déco d’inizio Novecento, conservi ben poco, dell’aura dell’avvocato. Ma quella forma d’elegante distacco, di essere cool però con tanti, ma davvero tanti soldi – e per via d’una azienda spesso aiutata dalle casse dello stato – è una scia lunga e difficile, inconsciamente, da digerire. Sei ricco, e anche uno splendido guappo: eh no, questo è troppo.
Perché, in quanto squadra della Fiat e perciò dei padroni (ancora una volta il calcio evoca in me categorie morte: Cipputi e i suoi padroni non è che non esistano più, ma assumono o stanno assumendo, decisamente, altre forme; speriamo se ne accorgano anche i sindacati!), la si odia perché operai o figli di operai o benestanti che amano gli operai: insomma, per motivi che incarnano il secolo passato. Una suddivisione semplificata, ormai, eppure sempre efficace: per l’amara verità che, nonostante tutto, un po’ rimarrà sempre, una verità; e per la serenità che provoca ogni semplificazione.
Categorie obsolete, semplificazioni rassicuranti paragonabili a una vacca che ha da rimanere grassa, calcisticamente parlando incarnata dalla Juventus, e anche perché a volte, è essa stessa ad averla nutrita: una volta con i Moggi, un’altra con l’essere tornata la più forte entrando, unica fra le italiane, a specchiarsi con l’attualità calcistica dopo essersi riflessa in quella dell’economia – la Fiat è italiana, oggi? Boh – e posso capire l’Inter, che ha nel suo DNA la pazzia e l’incostanza; ma il Milan, nel non prendere il treno dell’attualità, mi sorprende e lo farebbe ancora di più, se non fosse che il suo grande ciclo è dovuto a Berlusconi, oggi in declino: chi non lascia eredi, alla fine distrugge il giocattolo che aveva reso affascinante (vedremo, con mr. Bee!), come Chavez con il Venezuela. Detto questo: le squadre che ti fanno pensare, però!, che stile (e non ve n’è più traccia) stanno antipatiche.
Sono il ragazzo in classe tua, d’alta estrazione, cui le professoresse guardano con benevolenza; che fa palpitare i cuori dell’aula, e poco importa se di fatto, uscendo di classe, un po’ subisce (la Juventus è ormai la squadra che ha perso più finali di Champions in Europa): finita la ricreazione, con ancora gli scappellotti del quintaiolo d’origine spagnola sul capo, compie un gesto per ricomporsi i capelli con un tale distacco, una tale nuance da salotto bene, che gli altri maschietti lo vorrebbero strangolare con la fune dell’ora di ginnastica. (Lu Po)